domenica 9 marzo 2008

CAPITOLO PRIMO: “Godo”

La borsa ce l'ha Andrea!
Il piano è riuscito...
Non ci posso ancora credere ma è filata liscia.
Ognuno ha retto la sua parte, ogni movimento è stato corretto e alla fine...
Glielo abbiamo messo in culo.
E' andata come doveva andare insomma...
cioè qualcosina può sempre sfuggire, però... alla fine....
abbiamo vinto noi.
...Ah ...Ah, Ah!
E adesso abbiamo 8 milioni di euro.
Io me ne vado. Non l'ho ancora detto agli altri ma prendo la mia parte e vado via. Prima faccio un viaggio e poi mi compro una casa da qualche parte.
Magari in Messico... oppure alle Canarie.
Un piano geniale. Un'idea grandiosa e adesso abbiamo superato tutti la sottile linea che divide la nostra vita di prima, da quella di adesso.
Da gente per bene, da onesti cittadini a banda di ladri... il salto è più breve di quello che si può pensare!
Ne è valsa la pena però.
Altro che Ocean's eleven o twelve o tredici, quattordici... al mio piano bastavano 8 persone. Anzi 8 persone e mezza.
Noi eravamo gli insospettati, i figli della brava gente, gli amici di sempre, i dipendenti ingenui su cui si può fare sempre affidamento, i ragazzi con la voglia di divertirsi e di campare con poche lire. Oggi siamo diventati quelli che i giornali chiamano Sansalvario Connection!
Ma pensa te... proprio noi. Ci definiscono professionisti, calcolatori, con menti criminali internazionali alle spalle. Ci cercano in cinque Paesi diversi: sapessero...
Tutto ha inizio un giorno di gennaio: mi chiamano al telefono in redazione e mi propongono un incontro per realizzare un servizio davvero eccezionale. Chi mi telefona è un vecchio amico dei miei, un cinquantenne di nome Piero con un passato da rivenditore di macchine usate e un presente fatto di piccoli affari, consulenze, intermediazioni... insomma un ammanicato negli affaracci. Ci incontriamo nella pausa pranzo nei pressi del mio ufficio e si presenta con un Audi 80, un modello degli anni '90, di colore giallo e con gli interni in pelle. Faccio un sorriso mentre esce dell'auto e un piccolo complimento sull'originalità della vettura. Non ci siamo neanche salutati che prova a vendermi la macchina.
Gli rispondo che sto ancora finendo di pagare la mia Kia usata e allora lui mi propone una percentuale se riesco a trovare qualcuno interessato.
Iniziamo bene....
Ci salutiamo e entriamo a pranzare.
A quel punto mi presenta una situazione veramente impensabile.
Mi racconta di essere stato da poco in Egitto e casualmente di aver parlato con una guida di un piccolo medaglione che lui conserva in casa da una quarantina d'anni. Lui lo ha ottenuto da una fidanzata di allora, che aveva il padre dipendente di una grande società italiana di acquedotti impegnata fino agli anni '70 nella costruzione degli impianti idrici in Egitto.
Insomma, scava e scava per far passare tubature sotto il terreno degli egiziani ed ecco che finiscono in tasca una serie di oggetti, di pietre, di ciondoli con geroglifici dai disegni strani. Mi fa vedere una foto di un piccolo sassolino di forma irregolare non più grande di due falangi. Da un lato non ha disegnato nulla, dall'altro si vede un uccello stilizzato e una specie di fascina di spighe di grano: “Ho fatto vedere questa foto là in Egitto e mi hanno detto che si tratta del frammento di un ciondolo, i simboli sono quelli del regno di un Faraone vissuto circa due mila anni prima di Cristo. Si chiama Semiro. Mi hanno anche detto che non sono il primo ad avere un oggetto del genere, perché gli Italiani che sono andati a lavorare lì nel dopoguerra sono stati molti e in tanti sono ritornati a casa con le tasche piene. Vorrei sapere quanto può valere”.
“Possiamo scrivere un articolo – gli rispondo io – e così abbiamo l'opportunità di incontrare ufficialmente uno studioso, magari un responsabile del museo egizio o qualche professore dell'Università. Lui ci dirà sicuramente che cos'è prima di tutto e poi se ha veramente un grande valore e se è appartenuto al faraone Semiro, potrebbe indicarti chi è disposto ad acquistarlo”.
In quel momento, anche se una situazione del genere non mi era mai capitata prima, volevo solo finire quell'incontro e ritornare alla mia giornata di fatica da portare a termine.
“E se provassimo a venderlo ad uno dei maghi, di quelli che si vedono in tv – mi risponde lui - .. sai tipo Solange o Othelma. Quelli che danno ai vip della televisione degli amuleti portafortuna. Tu hai i loro riferimenti. Chiaramente per te c'è una bella percentuale”.
Fra me e me pensavo: mi sembra assurdo. Non so neanche se è originale e questo qua mi vuole far entrare in una cosa che potrebbe essere una truffa.
Mi vedevo già inseguito da Striscia La Notizia.
“Tutto quello che posso fare - gli risposi - è accompagnarti da qualcuno che abbia la competenza per dirci se è autentico o no. Posso chiedere un incontro, con la scusa che ho bisogno di informazioni per valutare se la notizia è pubblicabile oppure no. Cosa ne pensi?”
“Ma tu non hai qualche riferimento, tipo di Simona Ventura o di qualche giocatore. Sai quella è gente disposta ad offrire un fracco di soldi”.
La sua insistenza mi dava già sui nervi ma in quel caso con pacatezza non indietreggiai di un passo.
“Se vuoi intraprendere questa strada dovrai farlo da solo, io non ti posso aiutare. Se invece decidi di sapere cosa può valere, io ti posso dare una mano”.
“Allora così sia”
Bevemmo il caffè e lui pagò il conto. Avevo un piccolo disgusto per quello che avevo appena sentito dire e ne raccontai il fatto in modo divertito anche ai miei.
Un qualcosa dentro me però si accese, non le sue strampalate idee di vendere il ciondolo in maniera disonesta, ma la possibilità di inventare qualcosa... forse. Sicuramente volevo trovare l'interlocutore e vedere se tutta questa storia era una sciocchezza oppure no. Intanto avevo la possibilità di mettere per iscritto una storia rara, un po' misteriosa e che avrebbe fatto gola anche ai miei colleghi sciacalli dei quotidiani importanti.
Il giorno dopo richiamai Piero e gli chiesi ancora se era convinto di volermi far scrivere l'articolo e se mi autorizzava a procedere cercando il nostro interlocutore. Mi rispose di sì. Aspettai che passasse la giornata, che prima i miei colleghi e poi i miei titolari se ne andassero dall'ufficio.
Alle 18,30 uscì anche l'ultimo il solito grafico lento come una quaresima, o come si dice da noi, come una giornata senza pane.
Avevo 45 minuti di tempo prima che arrivassero gli addetti alle pulizie.
Avevo già il numero con me del museo Egizio e conoscevo anche l'addetto all'ufficio stampa, ma prima andai a cercare il nome del faraone Semiro su Wikipedia. Esisteva veramente ed era vissuto circa due mila anni prima di Cristo. Bene, pensai, almeno non mi facevo una figura di merda colossale.
Telefonai.... “Buongiorno... anzi buonasera, sono un giornalista della rivista Gate, vorrei parlare con l'ufficio stampa: Barbara Desiderio”.
“Provo a vedere se è ancora in ufficio – mi risposero dal centralino - ...rimanga in linea”.
Parte una musica classica, è Vivaldi.
“Pronto sono Barbara Desiderio con chi parlo?”
“Sono Roberto Pelleriti, caporedattore della rivista Gate”
“Buona sera è un po' che non ci sentiamo, ha ricevuti i nostri comunicati?”
“Sì, ma non è per questa ragione che la chiamo. Anzi le chiedo scusa per l'ora. Avrei una notizia importante riguardo certi ritrovamenti e avrei bisogno di parlarne con un vostro consulente. Se non sbaglio collabora con voi il professor Tosi? Lo avevo incontrato per l'inaugurazione della nuova esposizione”
“Sì è ancora qui ma in questi giorni non c'è perché è stato invitato per una importante mostra a Chicago. Lo troverà la prossima settimana, dovrebbe tornare in ufficio lunedì mattina. Vuole il suo cellulare?”
“Sì grazie, ma visto che devo aspettare mi potrebbe lasciare anche il suo indirizzo mail, così magari guadagno un po' di tempo e fisso già un appuntamento”
“Si certo, anzi visto che oggi abbiamo fatto 30, facciamo anche 31. Le mando subito una mail con i riferimenti di Tosi tanto il suo indirizzo l'ho già... è quello a cui mando sempre i comunicati. A tal proposito il prossimo mese organizziamo una serata evento in cui il museo rimarrà aperto fino alle undici in occasione della mostra i d...”
“Mi mandi tutto così le prometto che sul prossimo numero mettiamo almeno una breve nella pagina degli appuntamenti. Mi richiami, se vuole, fra quindici giorni che saremo in chiusura.”
“Va bene grazie, allora le mando i riferimenti... buona sera”.
“Buona sera”.
Mi attaccai nervosamente al mouse cliccando continuamente sul tasto invia/ricevi della mia posta. Niente, poi ancora niente, niente alla terza, quarta, quinta volta. Alla ventesima circa appare la scritta scarico 1 di 1. Finalmente!
Ci mette un casino di tempo però... che cazzo è andata ad allegare sta qua... Ecco finalmente la mail: cinque foto sull'evento, la cartella stampa, due testi con vita, morte e miracoli del direttore e due righe con i riferimenti del Prof. Adelmo Tosi.
Vaffanculo, ci voleva tanto!
Mando in stampa.
Faccio in tempo a raccogliere il foglio, dalla stampante e sento aprire la porta dell'ufficio:
“Mi scusi non sapevo che ci fosse ancora qualcuno...”
“Non si preoccupi signora, spengo tutto e vado via, se no a casa mi danno per disperso”.
Presi le mie cose e me ne andai a casa. Il giorno dopo scrissi la mail durante la pausa pranzo e con la firma misi anche il numero di cellulare. Forse nella speranza di fare in fretta, perché dentro me qualcosa mi diceva che poteva diventare una situazione lunga e impegnativa e che mi avrebbe portato, come al solito, un fracco di perdita di tempo.
Decisi però di rimanere sul vago, e di passare un po' per chi non se ne intende, cercando dal professore solo un piccolo incontro per avere un parere diretto e professionale su quello che sarei andato a scrivere.
Insomma gli raccontai qualche balla: ...che l'oggetto era in mano ad un signore che lo aveva trovato fra gli scatoloni della cantina, che gli avevano parlato di un faraone di cui non sapevamo bene il nome ma che si doveva chiamare tipo Samaron, Simirion.. ecc.
Qualcosa di sorprendente accadde.
Erano le due meno dieci a Torino, neanche le otto del mattino in Illinois. E ricevetti già una mail dal Professor Tosi.
Diceva così: “Gentile Pelleriti, certi oggetti appartenuti alle classi nobili dell'antico Egitto, sono entrati in Italia negli ultimi 40 anni in maniera alquanto misteriosa. Non ne nego la validità e l'autenticità a priori, proprio per questa ragione dunque; ma questi oggetti, se davvero fossero tali, avrebbero un valore immenso e potrebbero aprire anche una situazione di crisi internazionale. Tanto più che negli ultimi anni si è adottata una politica atta a restituire gli oggetti al proprio paese di appartenenza, attraverso la mediazione degli organi museali. In questi giorni stiamo lavorando alacremente per organizzare un importante evento che avverrà presso il museo torinese nel prossimo mese, il 29 febbraio. Mi rendo disponibile per un incontro al mio rientro in Italia che non avverrà prima della prossima settimana. La contatterò io al numero di cellulare che ha lasciato in coda alla mail. La ringrazio di avermi scelto come referente per il suo servizio e la inviterei, visto la delicatezza della situazione, a difendere la segretezza del fatto”.
Qualcosa mi suonava strano, ma lì per lì la presi come un atto zelante di un uomo di scienza. Perché solitamente, ogni volta che devo contattare qualcuno che ha un lavoro così impegnativo, mi è sempre difficile ottenere un incontro al primo tentativo. Soprattutto quando si parla di un articolo da scrivere e che non porta all'altro nulla di significativo. O meglio che non fa all'altro pubblicità. Diverso è il discorso se si tratta di artisti, anche di primo piano, che si rendono sempre disponibili in occasione dell'uscita di un loro film, di un disco o di un libro. Le marchette che guidano l'informazione, è proprio così, ha ragione Piero Chiambretti.
Lasciai perdere il discorso e non ci pensai quasi più, per il resto della settimana. Il martedì successivo venni chiamato al cellulare.
"Signor Pelleriti, sono Tosi del Museo egizio"
"Buongiorno... e ben tornato. La ringrazio di avermi chiamato immediatamente".
"No ringrazio io lei per avermi contattato. Mi dica quindi"
"Le chiederei di fissare un incontro, io mi preoccupo di contattare il proprietario e di accompagnarlo da lei con l'oggetto in questione. A quel punto vorremo sapere un suo parere sull'originalità e un po' di storia a riguardo... sempre che sia un originale. Io fino ad oggi l'ho visto solo in foto. Nel caso fosse un falso, le porgo già da adesso le scuse per il disturbo, ma deve capire che riportare un parere quanto più tecnico e professionale, fa parte del protocollo della nostra professione. Soprattutto in una situazione del genere, dove bisogna dimostrare il concreto tentativo di scrivere la verità".
"Capisco, capisco... comunque preferirei che, almeno per ora, l'incontro venga effettuato in riservatezza e anonimato, poi decideremo dopo aver visto l'oggetto".
"Sì, sì, anche per me è meglio non far sapere nulla... anche per non bruciare la notizia. Quando potremmo incontrarci quindi?"
"Facciamo... venerdì. Alle sette di sera può andar bene?"
"Per me sì, chiederò anche al proprietario. Se mi lascia il suo numero la richiamerò domani per conferma"
"Perfetto, se mi chiama prima delle 18, mi trova in ufficio... al numero del museo, chiaramente".
"Farò così, buona sera"
"Buona sera, buona sera".
Ancora quel dubbio sottile, quel gusto stonato. C'era qualcosa che non andava, non tanto nelle sue parole, quanto nelle intenzioni. Prima risponde celermente alla mia mail, poi mi chiama appena tornato e quello che non andava adesso è questa richiesta di segretezza espressa ancora prima che lo facessi io. Per me significa tutelare la freschezza di una notizia e la possibilità di evitare una bella figura di merda... ma per lui... io fossi in lui vivrei questa situazione, quasi come un fastidio inutile in una vita fatta sicuramente di impegni più importanti, di quintali di lavoro e di scadenze ravvicinate.
Sarà zelante, pensai ancora una volta...
Telefonai dopo poco a Piero, lui mi diede subito la sua disponibilità per l'incontro e così il venerdì, dopo un'altra settimana di nausea lavorativa, mi incontrai con l'amico faccendiere con l'Audi gialla, per andare al museo Egizio. Lo incontrai al caffè Lumiere, mentre affogavo i pensieri di una vita diversa gustandomi un croissant alla mela e un marocchino caldo.
"Allora siamo in ritardo" mi disse
"No, ci servono dieci minuti per andare fino a là. Tanto andiamo a piedi"
"Senti Roberto - mi dice lui - non sarebbe stato meglio contattare qualche personaggio famoso, tipo che ne so... Simona Ventura. Sai questa gente se viene a sapere che è un portafortuna antico è capace di pagare centinaia di milioni".
Aridaglie, pensai... il venditore per mestiere diventa un malato di mente. Sarebbe capace di vendere anche un foglio di carta stracciato dicendo che è un documento appartenuto a Napoleone.
"Per ora ci serve sapere se è autentico, se no non possiamo scrivere niente. A quel punto se qualcuno chiama in redazione, ti faccio sapere. E poi, dovesse capitare, non voglio nulla. Prendilo come un favore da amico".
"Ma stai scherzando - mi rispose quasi infastidito, come se parlasse con un alieno che veniva da un altro mondo - per te c'è il 20%. E' che mi preoccupano questi dei musei, mettono in mezzo le leggi, alla fine non ti danno nulla... e se tu non accetti di consegnare il pezzo ti denunciano".
"E tu gli dici che non trovi più il pezzo, che lo hanno rubato e intanto da sta sera lo nascondi in qualche posto sicuro".
Non so come mi venne, però era una bella furbata e in più partorita in un decimo di secondo. In verità non vedevo l'ora di finire sto incontro, tornare a casa e iniziare a godermi il week end.
"Comunque ti sei ricordato di portare la pietra, il ciondolo o quello che è ?"
"Sì è qui in tasca" mi disse.
"Allora andiamo".
Pagò anche questa volta il conto, salutammo il proprietario che ci sorrise sotto i baffi, visibilmente stonato dalla lunga giornata a cui mancava ancora qualche fatica, per volgere al termine. Arrivati al Museo fummo accompagnati al secondo piano. Il Professor Adelmo Tosi, non ci fece aspettare per troppo tempo.
"Benvenuti"
"Buona sera professore, io chiaramente sono il giornalista e lui è il signor Piero Maianelli".
"Buonasera, ditemi quindi..."
Piero non dice una parola e prende una scatolina per gioielli, la apre e dal cotone tira fuori una pietra bruna e piatta dalla forma ovale, non più lunga di tre centimetri.
"Pensi è stata in uno scatolone nella cantina di uno zio, chissà per quanti anni, o secoli..."
Quante balle che sapeva tirare fuori e come le sapeva dire, in una maniera indubitabile.Il professore si infilò dei guanti in lattice e mise all'occhio un monocolo con una forte lente di ingrandimento. Non disse nulla, poi si spostò sotto la luce e guardò ancora meglio, quindi aprì un cassetto da cui tirò fuori un block notes, si sedette e iniziò a scriver qualcosa.
"Potrò scrivere anch'io qualcosa professore..?" Gli dissi con una battuta che ben faceva capire quanto mi importasse veramente di quell'avanzo minuscolo di storia. Per me significava ancora un buon pretesto per costruire tre o quattro paginette, scritte bene e curiose che avrebbero portato non più di qualche telefonata curiosa e qualche mail interessata. Magari mi avrebbero chiamato da La Stampa o da La Repubblica per saperne di più, ancora più probabilmente avrebbero contattato direttamente Piero.
"Sì è originale"
Piero si accese e si mise con la schiena dritta.
"E' una moneta del faraone, come quelle che venivano inserite nel sarcofago con la salma del re, per pagare il pegno ad Anubi. Non riesco a confermare ancora l'esatta appartenenza ma posso dire che si tratta di migliaia di anni prima di Cristo".
"Quanto può valere?" chiese Piero senza un minimo di pazienza. Il professore appoggiò il monocolo e guardò negli occhi Piero, poi guardò curioso anche in mezzo alle mie pupille.
"Se viene denunciato non vale nulla - esordì il professore, gelando il sangue del mio compagno in un istante -. Le leggi sono chiare, appartiene all'Egitto e là deve tornare. Sicuramente verrebbe portato direttamente al museo nazionale de Il Cairo. Però, per fare in modo che non sparisca sta sera, o che non mi veniate a dire, tra qualche giorno, che vi è stato rubato, possiamo trovare un mediatore, che lo acquisti a voi e che lo faccia poi rinvenire in qualche luogo. Questi oggetti non hanno solo un valore economico e storico. Hanno anche un valore politico. Non so se mi potete comprendere"
Mi sentii un imbecille, il più grande pensiero furbo che potessi concepire su questa faccenda era stato mortificato in una manciata di secondi. Però adesso si concretizzava l'idea di fare qualche soldo.
"E quanto sarebbe disposto a mediare il mediatore?" Disse ancora Piero in piena trans da trattazione.
Il professore prima esitò un istante e poi: "Vi dirò con certezza fra qualche giorno... diciamo che si tratta di una cifra simbolica... 5 mila euro".
"Troppo simbolica, almeno dieci mila" rispose tempestivamente Piero, secondo il suo protocollo professionale.
"Signor Maianelli, qui non stiamo vendendo una macchina... il prezzo lo decidiamo noi e poi non ha pensato che se entrassero in questo momento degli ufficiali della Guardia di Finanza che io avrei potuto anche contattare, facendoli attendere in un'altra stanza, non ci sarebbero questioni monetarie di cui parlare"
Mi mancò il fiato per un attimo, ero visibilmente irrigidito poi pensai ...o mille o al massimo due mila euro per me. Beh meglio di un calcio in culo. Mi sa che non ho perso tempo...
"E niente articoli - disse girandosi verso di me - almeno fino a quando non avremmo concordato il passaggio dell'oggetto. In quel caso, se sarà lesto, sarà il primo"
Rimangio l'ultimo pensiero, un po' di tempo, in questo caso l'ho perso e sono pure trattato un po' da zerbino.
"La chiamo fra qualche giorno signor Pelleriti - concluse Tosi - per ora io e lei signor Maianelli non ci siamo mai conosciuti e lei non è mai stato qui. Invece signor Pelleriti lei ha un cellulare aziendale e la mia telefonata di qualche giorno fa, sarebbe facilmente rintracciata. Dovrà dire che è venuto qui per parlare dell'evento del 29 febbraio, quello in cui si incontreranno a Torino i direttori dei cinque musei più importanti del mondo dedicati all'antico Egitto: Il Cairo, Londra, Chicago, Tokyo e Torino appunto".
"Va bene - risposi come un bambino delle elementari, messo al suo posto dalla maestrina - aspetto una sua chiamata"
Ci allontanammo dal Museo Egizio e ritornammo verso San Salvario. Mangiammo da Sakura e Piero rimpiangeva il fatto di non aver contattato qualche personaggio famoso
"... che ne so un calciatore, oppure una valletta, penso ad esempio a Simona Ventura"
Se lo diceva ancora una volta lo infilzavo con le bacchette.
"Comunque è una cifra accettabile - concluse -...e tu ti prendi il 10%, come avevamo deciso"
Sto pezzo di m..
"Non avevi parlato del 20%?"
"E tu non avevi detto che doveva essere un favore da amico? Con gli affari ci sai fare poco Roby meglio che continui a scrivere".
La mattina seguente mi svegliai con un pensiero pressante. Avevo dimenticato di mandare una mail con la richiesta di intervista ad uno dei personaggini imposti dall'editore.
Mi alzai e scaricai la posta...
A quel punto cambiò tutto.
Non tutti gli errori vengono per nuocere ...anzi.
Tosi ha sbagliato, ha inoltrato una mail a me invece di scriverla al giusto destinatario: tale signor Toseland, di Boston. Poi me ne arriva un'altra, identica alla prima indirizzata al prof Takanashi a Tokyo. Parla della pietra di Piero, la chiama la moneta di Samiro. Dice che è disposto ad accettare un'offerta e fa sapere all'uomo di Boston che Takanashi ha già offerto... 4 milioni di euro. A Takanashi fa sapere ugualmente che Toseland da Boston è disposto da subito ad offrire la stessa cifra. Alla faccia del zelante... sto furbone.
Chiaramente precisava che l'oggetto era custodito da altre persone di cui non conosceva né residenza, né nome e che non sarebbe entrato in suo possesso fino al 29 febbraio.
Che stava pensando di fare? Forse di tutelarsi da possibili aggressioni, agguati o furti? Non lo so. Rimasi stupito come non mai e decisi di non parlarne a Piero. Non credevo a quello che vedevo scritto, lo rilessi ancora una volta e feci una mezza risata.
Tornai a casa e presi i cani, con Martina passeggiammo fino al Valentino percorrendo via Galliari, fermandoci ai banchi del mercato di piazza Madama Cristina. Poi arrivati sul prato iniziammo a tirare la solita pallina ad Amanda e Lulù.
Iniziai a raccontarle la storia, senza darci troppo peso.
All'improvvisò le suonò il cellulare, interrompendo il racconto che era quasi arrivato al punto più bello, continuai quindi con il sorriso sospeso a lanciare e raccogliere la pallina, in perfetto silenzio.
Poi come un tuono... un pensiero che mi serra le labbra.
Le mani continuano a raccogliere e lanciare in modalità automatica...
il pensiero va avanti... e avanti... senza fermarsi più.
Martina chiude la chiamata con un: ciao a più tardi e torna da me, mette il cellulare in tasca e mi chiede "Quindi...?"
La guardo in faccia... un po' sbiancato...
"Mi serve una banda".